LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
                               IN FATTO
    Con tre distinti  ricorsi  del  28  febbraio  1992,  via  Elena  e
 Romanello  Pasquale,  nella  loro  qualita'  di proprietari di unita'
 immobiliari ricadenti in un immobile sito in Corigliano Calabro  alla
 via  Montesanto n. 22 e classificati nel N.C.E.U. del suddetto comune
 rispettivamente con categoria A/2 cl. 2, C/1, cl. 1, A/3 cl. 3,  C/6,
 cl.  8,  C/2  cl. 2, impugnavano le rendite catastali attribuite alle
 suddette  unita'  immobiliari  in applicazione della tariffa d'estimo
 approvata con decreto del Ministro  delle  finanze  pubblicato  nella
 Gazzetta Ufficiale n. 229 del 30 settembre 1991, chiedendo:
      in  via  preliminare,  ordinare  all'ufficio tecnico erariale di
 Cosenza la produzione di tutti gli atti e  provvedimenti  di  cui  al
 procedimento  di  formazione  della tariffa per la categoria relativa
 agli immobili di proprieta' dei ricorrenti;
      in via principale,  dichiarare  nulla  e  priva  di  effetti  la
 rendita attribuita agli immobili sulla base della tariffa;
      in subordine, la riduzione della stessa rendita catastale.
    L'ufficio  tecnico  erariale  si costituiva in udienza con memoria
 scritta, sostenendo la validita' e l'efficacia delle tariffe d'estimo
 applicate.
    All'udienza   dell'8   ottobre   1993,    i    ricorsi    venivano
 preliminarmente  riuniti  per  connessione  oggettiva  e  soggettiva,
 quindi discussi oralmente.
    All'esito della  discussione,  questo  collegio  si  riservava  di
 decidere.
                              IN DIRITTO
    Occorre   preliminarmente  precisare  che  i  motivi  addotti  dai
 ricorrenti nei ricorsi riuniti hanno gia' trovato  in  altre  e  piu'
 autorevoli sedi pieno accoglimento.
    In  particolare  e'  opportuno richiamare la decisione del tar del
 Lazio n. 1184 del 16 maggio 1992 che, nelle more di questo  giudizio,
 ha  gia'  annullato i decreti del Ministro delle finanze 27 settembre
 1991.
    Si tralasciano, quindi,  le  argomentazioni  poste  a  base  della
 suddetta  decisione,  fra  l'altro  condivise  pienamente  da  questo
 collegio, per soffermare invece l'attenzione sul  d.l.  n.  16/1993,
 convertito  in  legge  n.  75  del  24  marzo 1993, che all'art. 2 ha
 sostanzialmente riprodotto il contenuto del d.m.  27  settembre  1991
 impugnato,  fissando  nuove  e  diverse  tariffe basate sul parametro
 della redditivita' anziche' su quello del valore commerciale, nonche'
 sul d.l. n. 287/1993 e  successiva  proroga  (d.-l.  n.  405  del  9
 ottobre   1993)   che   sostanzialmente   riapre   i   termini,  gia'
 abbondantemente scaduti, di cui al comma 1- bis e 1- ter del suddetto
 art. 2 legge n. 75/1993, al fine di dare al Ministero  delle  finanze
 la  possibilita'  di  produrre  ricorsi  alla  commissione  censuaria
 centrale.
    In realta', questo collegio ritiene, d'ufficio, che sia  la  legge
 n.  75/1993  e sia il d.l. n. 287/1993 (ora d.-l. n. 405/1993) sopra
 richiamati, presentino gravi dubbi di legittimita'  costituzionale  e
 sotto diversi profili che cosi' si riassumono:
    1.  -  Illegittimita'  dell'art.  2  della  legge  n.  75/1993 per
 violazione degli artt. 102, primo  comma  e  103  primo  comma  della
 Costituzione.
    Al  riguardo,  questo  collegio, ritiene che la procedura adottata
 dal potere legislativo nel ripristinare,  sia  pure  per  un  periodo
 limitato  (31  dicembre  1993), le disposizioni contenute nel decreto
 ministeriale 27 settembre 1991 dichiarato illegittimo con la predetta
 sentenza del tar del Lazio n. 1184/1992, sostanzialmente  costituisce
 un  potente  straripamento del potere legislativo nel campo riservato
 istituzionalmente al potere giudiziario e  quindi  in  contrasto  con
 quanto disposto dagli artt. 102, primo comma e 103, primo comma della
 Costituzione.
    In  realta'  essa  e'  solo  il  tentativo  alquanto  maldestro di
 salvare, in chiave  legislativa,  l'intricata  questione  che  si  e'
 venuta  a  creare  a  seguito  della clamorosa bocciatura delle nuove
 tariffe d'estimo ad opera del tar Lazio, con conseguente annullamento
 dei suddetti decreti ministeriali 20  gennaio  1990  e  27  settembre
 1991.
    Ne'  appare  apprezzabile  o  comunque  riparatrice  la  mossa del
 legislatore nel disporre  il  varo  di  nuove  tariffe  d'estimo  che
 sostituiscono  quelle  illegittime  a partire dal 1 gennaio 1995, che
 prevede anche il recupero delle somme eventualmente versate  in  piu'
 sotto  forma  di  credito  di  imposta  alla  prima dichiarazione dei
 redditi successiva all'approvazione delle  nuove  tariffe,  nel  caso
 risultassero inferiori a quelle vigenti.
    In buona sostanza, dal sistema introdotto dall'art. 2 della citata
 legge scaturiscono le seguenti illegittime conseguenze:
       a)  il  contribuente e' obbligato a pagare somme che potrebbero
 risultare maggiori di quelle effettivamente dovute;
       b) non e' previsto un termine per la restituzione  delle  somme
 in  esubero, con particolare riguardo alle ipotesi di dichiarazione a
 credito;
       c) non viene stabilita la corresponsione di  interessi  per  il
 periodo  intercorrente  tra  la data del pagamento indebito e la data
 dell'effettivo rimborso.
    2. - Illegittimita' dell'art. 2 legge n.  75/1993  per  violazione
 degli artt. 3 e 53 della Costituzione.
    Il  dubbio  che  siano stati violati i suddetti artt. 3 e 53 della
 Costituzione nasce altresi' dal fatto che  il  summenzionato  art.  2
 impone  al contribuente, sia pure in via provvisoria, il pagamento di
 imposte nella  misura  stabilita  con  atti  amministrativi  comunque
 dichiarati illegittimi.
    Ed  infatti,  non  risulta  conforme  al dettato Costituzionale la
 tassazione delle rendite immobiliari su di un'ipotesi di fruttuosita'
 del valore capitale dell'immobile determinato in base  a  criteri  di
 tipo  patrimoniale,  che  la  stessa norma in parola mostra di volere
 abbandonare per i periodi di imposta successivi  al  1994,  palesando
 cosi' la propria intrinseca irrazionalita'.
    Per  meglio dire, cio' introduce una grave alterazione nel sistema
 fiscale vigente, conflittuante con l'art. 53 della Costituzione,  nel
 senso  della  trasformazione delle imposte dirette sugli immobili che
 non sarebbero piu' determinate su base reddituale bensi', come si  e'
 detto, su base patrimoniale.
    3.  -  Illegittimita',  sotto  altro  profilo,  dell'art.  2 della
 medesima legge n. 75/1993, per violazione degli  artt.  3,  53  e  24
 della Costituzione.
    Appare,  inoltre,  fondato  il  dubbio  di incostituzionalita' del
 medesimo articolo con  riferimento  agli  artt.  3,  24  e  53  della
 Costituzione  per effetto dell'applicazione provvisoria delle tariffe
 d'estimo annullate dal tar Lazio in  quanto  cosi'  si  sottopone  il
 contribuente  ad  una tassazione avulsa della sua effettiva capacita'
 contributiva e ripristinatoria di una forma neanche tanto  velata  di
 solve ed repete.
    Tale   considerazione   e'   altresi'  rilevante  soprattutto  con
 riferimento alla decisione della presente  controversia,  atteso  che
 essa  ha  per oggetto l'impugnativa del classamento degli immobili di
 proprieta' dei ricorrenti le cui rendite catastali, per effetto delle
 nuove  tariffe  introdotte  con  i   decreti   impugnati,   risultano
 eccessivamente aumentate.
    4.  -  Illegittimita'  dell'art. 1 del d.l. 9 agosto 1993, n. 287
 prorogato con d.l.  n.  405  del  9  ottobre  1993,  per  violazione
 dell'artt. 3, 102 e 103 della Costituzione.
    Il  serio pericolo di fare svolgere la revisione degli estimi alla
 commissione censuaria nazionale,  esautorando  cosi'  le  commissioni
 distrettuali    e    provinciali   ed   escludendo   illegittimamente
 l'interpello dei Comuni interessati da  parte  degli  uffici  tecnici
 erariali  (cfr. art. 4, quinto e sesto comma della legge n. 405/1990;
 art. 34, secondo comma T.U.I.R.), e' gia' stato fatto  autorevolmente
 rilevare  in  occasione  della  emissione  dei  decreti  ministeriali
 impugnati ed annullati.
    Tale pericolo diventa ora certezza con l'approvazione del d.l. n.
 287/1993 e della successiva proroga (d.l. n. 405/1993).
    Detto  decreto,  infatti,  mette  in   atto   quella   illegittima
 procedura,  piu'  volte  criticata, di dare esclusiva competenza alla
 commissione censuaria centrale violando palesemente anche il  dettato
 normativo  di cui all'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo del
 diverso  trattamento  normativo  riservato  a  situazioni  del  tutto
 analoghe tra loro.
    Ma v'e' di piu': il d.l. n. 287/1993 e la successiva proroga, nel
 rimettere  nei  termini  il  Ministero  delle  finanze  per inoltrare
 ricorsi presso  la  commissione  censuaria  centrale,  in  definitiva
 modifica il valore sostanziale delle res iudicata.
    Infatti,   i   ricorsi   tempestivamente   presentati  dai  comuni
 interessati ai sensi dell'art. 2, comma 1- bis del d.l.  23  gennaio
 1993,  n.  16,  convertito  nella  legge  n. 75/1993, poiche' accolti
 perche' non decisi entro i quarantacinque giorni successivi alla data
 di presentazione, al 22  luglio  1993  (data  entro  cui  gli  uffici
 competenti  potevano e dovevano rivolgersi alla commissione censuaria
 centrale) diventano "cosa giudicata" per mancata opposizione  avverso
 il  maturato  "silenzio-assenso", previsto dallo stesso art. 2, comma
 1- ter del d.l. n. 16/1993.
    Ne  consegue,  ad  avviso  di  questo  collegio,  che  la  anomala
 procedura   introdotta  dal  legislatore  con  d.l.  n.  287/1993  e
 successiva proroga secondo la  quale  si  ignora  totalmente  la  res
 iudicata,  pone  in  essere  un  ulteriore  e grave straripamento del
 potere legislativo in un campo riservato istituzionalmente al  potere
 giudiziario.
    E' ora che il tentativo, del tutto inutile, di salvare, ancora una
 volta, dal punto di vista legislativo, cio' che ormai non puo' essere
 salvato, vada decisamente respinto.